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Addio a Godard, il regista rivoluzionario francese

da Notizie Dal Web

Douglas Morrey è professore associato di francese all’Università di Warwick. È autore dei libri “Jean-Luc Godard” e “The Legacy of the New Wave in French Cinema”.

Uno degli antenati del cinema moderno, scrittore e regista Jean-Luc Godard, scomparso martedì all’età di 91 anni, ha trasformato il modo in cui la cultura viene vissuta e compresa in Francia e non solo. Ricordato soprattutto per la sua associazione con il movimento francese della New Wave, attraverso l’energia scoppiettante e i bruschi cambiamenti di tono dei suoi film, Godard ha cambiato l’idea di ciò che un regista potrebbe o dovrebbe essere.

Grazie alla sua critica polemica e aspra e al feroce individualismo della sua carriera, i registi sono ormai abitualmente considerati in Francia come aventi la capacità, persino il dovere, di commentare gli sviluppi sociali e politici con la stessa autorità di scrittori, filosofi o politici.

Inoltre, è in gran parte a causa del modello ispiratore di Godard e di una manciata di altri che Parigi è oggi la città più grande in cui coltivare un interesse per il cinema. Ed è la ricchezza di questa cultura e industria che sarà forse l’eredità più preziosa e duratura della New Wave in generale, e di Godard in particolare.

Senza Godard, senza film come “Breathless” (1960), “Contempt” (1963) o “Pierrot le fou” (1965), la New Wave francese sarebbe stata semplicemente l’espressione cinematografica di profondi cambiamenti demografici e culturali che hanno segnato l’inizio della la Quinta Repubblica in Francia nel 1958. Invece, è diventato molto di più.

Osservando con disprezzo da dietro i suoi occhiali colorati, è stato il contributo di Godard: in primo luogo, nel vetriolo e nell’esagerazione arrogante dei suoi scritti critici; poi, nelle narrazioni messe insieme, nei montaggi disorientanti e nell’atmosfera a ruota libera dei suoi film, che lo hanno reso rivoluzionario e quasi certamente il movimento più significativo, coerente e radicale nella storia del cinema. Un movimento che ha ispirato innumerevoli altre insurrezioni estetiche in tutto il mondo, estendendosi oltre la Francia fino a Gran Bretagna, Cecoslovacchia, Brasile, Hollywood e Taiwan.

“Punk” prima del punk, la New Wave ha mostrato che chiunque può essere un artista. È stato sufficiente radunare alcuni amici, prendere in prestito una macchina fotografica, rubare alcune pellicole, scendere in strada e filmare la propria vita. L’avventura di fare il film in sé era tutto il soggetto, tutta la storia richiesta. Eppure, ha segnato solo l’inizio dell’impatto di Godard sul panorama culturale.

Sebbene non fosse un regista apertamente politico quando iniziò, nonostante avesse affrontato apertamente il ruolo della Francia nella guerra d’Algeria in “Le Petit Soldat” (girato nel 1960, ma bandito e non concesse un’uscita fino al 1963), Godard all’inizio era più interessato a esplorare l’eternità questioni esistenziali della vita e della morte, uomini e donne, linguaggio e significato, documentando contemporaneamente la mutazione etnografica di Parigi nei suoi film.

Ma come molti intellettuali negli anni ’60, è diventato sempre più politicizzato con il passare del decennio, esprimendo ripetutamente la sua indignazione per la guerra del Vietnam e l’allegra consumismo della società francese, sia sullo schermo che fuori. E con la crisi del maggio 1968, in cui fu apertamente attivo e ampiamente critico nei confronti della mancanza di coinvolgimento dei suoi contemporanei, fu incoraggiato ad abbandonare del tutto il cinema commerciale come causa persa della borghesia.

Rifiutando anche il sospetto individualismo della sua firma autoriale, ha trascorso quattro anni a girare film con il collettivo radicale Dziga Vertov Group, guidando sempre più a sinistra, creando trattati didattici maoisti che possono sembrare formidabili agli spettatori di oggi, ma non hanno perso nulla del loro giusta furia per l’ingiustizia sociale ed economica.

Più di ogni altro regista, la traiettoria di Godard negli anni ’70 riflette direttamente le fortune del pensiero e dell’azione politica radicale negli anni successivi al 1968, alla ricerca di un fronte rivoluzionario unito sulle lotte di classe in tutto il mondo, ma che alla fine si placa nella disillusione, nella lotta interna e nella ritirata dalla metropoli avvelenata.

L’osservatore casuale, specialmente fuori dalla Francia, potrebbe essere perdonato per aver pensato che Godard non è mai tornato al cinema tradizionale dopo il 1968, poiché nessuno dei suoi film successivi è diventato un successo travolgente. Ma l’instancabile regista non ha mai smesso di lavorare.

In particolare, si è reinventato come storico del cinema, con il monumentale video collage di quattro ore e mezza “Histoire(s) du cinéma” (1998), che racconta la storia del film con parole e immagini, attraverso un montaggio spesso mozzafiato della memoria personale del regista dell’andare al cinema. Qui, Godard ha sviluppato un argomento controverso sul presunto fallimento morale del suo medium e sulla sua incapacità di rivelare la scomoda verità sull’ingiustizia e l’atrocità nel mondo.

In particolare, ha più volte sostenuto che le immagini dei film documentari sull’Olocausto potrebbero, e dovrebbero, essere utilizzate a fini didattici, entrando in un polemico dibattito con il regista Claude Lanzmann, per il quale lo sterminio nazista degli ebrei ha segnato il limite insuperabile di ciò che può eticamente essere visto o mostrato.

Godard non ha nemmeno fatto film per il cinema. Ha sperimentato il documentario televisivo negli anni ’70; ha sabotato improbabili commissioni commerciali da France Télécom e dal rivenditore di elettronica Darty negli anni ’80; e come uno dei primi entusiasti del video digitale, i suoi film più recenti, “Film socialisme” (2010) e “Goodbye to Language” (2014), contenevano materiale girato con i telefoni cellulari.

Negli ultimi decenni, il focus politico del lavoro di Godard potrebbe essere aumentato e diminuito, ma è rimasto sempre dirompente, polarizzante e schietto. Ed è difficile pensare a un altro regista, in qualsiasi parte del mondo, che abbia dimostrato un impegno così incrollabile e duraturo per l’integrità artistica, il rinnovamento e il coraggio, la sua figura iconica per sempre impressa negli annali della cultura francese e la nostra comprensione collettiva del commovente Immagine.

Fonte: ilpolitico.eu

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