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Continua la lotta per l’accesso all’aborto in Italia

da Notizie Dal Web

Giulia Blasi è una scrittrice e attivista con sede a Roma, autrice del manuale femminista per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli, 2018) e “Rivoluzione Z” (Rizzoli, 2020) e “Brutta” (Rizzoli, 2022).

ROMA – Interrogata sul suo punto di vista sui diritti all’aborto, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha risposto che intende dare alle donne “il diritto di non abortire”.

La Meloni – sulla buona strada per diventare la prima donna premier nella storia del Paese – ha anche affermato di voler “applicare pienamente” la legge 194, che protegge l’accesso all’aborto.

Questa scelta di parole può aver rassicurato parte dell’elettorato, che altrimenti non avrebbe votato per un partito chiaramente anti-scelta. Ma le sue parole devono anche essere valutate rispetto alle sue azioni, alle politiche del suo partito a livello locale, così come a quelle dei suoi stretti alleati, che dipingono tutti un quadro piuttosto diverso.

Allo stato attuale, per ottenere l’aborto, le donne italiane devono sottoporsi a una visita medica, osservare un periodo di attesa di sette giorni e sostenere una sessione di consulenza obbligatoria volta ad aiutare a rimuovere “ogni ostacolo” al portare a termine la gravidanza.

Questa disposizione, che vede la volontà della gestante subordinata all’interesse pubblico alla sua fertilità, sospende temporaneamente l’autonomia corporea della donna, sottoponendola alla decisione della comunità. Questo è poi aggravato dal numero allarmante di obiettori di coscienza negli ospedali e nelle cliniche di tutto il paese: la media nazionale è calcolata intorno al 70%.

Pertanto, in diverse regioni e anche grandi città – soprattutto del Sud – è impossibile ottenere una risoluzione sicura e legale per mancanza di operatori sanitari disposti a svolgere la procedura. In particolare, il suddetto Legge 194 tutela l’obiezione di coscienza a condizione che non comporti un’interruzione del servizio, ma non stabilisca un numero massimo di obiettori per ospedale o clinica.

È anche importante notare che questa legge in realtà non protegge il diritto all’aborto. Mentre lo spirito del disegno di legge, che è stato firmato in legge nel 1978 e da allora è rimasto intatto, era quello di garantire che qualsiasi donna che volesse abortire potesse ottenerne uno, la sua formulazione finale descrive il suo obiettivo di “proteggere [ing] la vita umana dal suo inizio”.

Frustrante, è quasi impossibile ottenere dati ufficiali sullo stato dell’accesso all’aborto a livello locale in Italia, soprattutto perché l’assistenza sanitaria è gestita a livello regionale e ciascuna regione gode di una notevole autonomia. Le autrici Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno cercato di mettere insieme i fatti nel loro libro del 2022 “Mai Dati”, raccontando la loro incapacità di elaborare un quadro completo dello stato dei servizi di salute riproduttiva nel paese, nonché le reticenze incontrate nel loro tentativo.

Tuttavia, questi problemi non sono necessariamente nuovi. Durante il recente mandato del ministro della Salute di centrodestra Roberto Speranza, non è stata avviata alcuna indagine ufficiale per risolvere il problema e garantire che le donne potessero accedere alla procedura o ricevere la prescrizione di RU-486, un farmaco abortivo che consente alle donne di interrompere una gravidanza nelle prime fasi, in sicurezza ea casa.

Diverse regioni italiane gestite da amministrazioni di centrodestra o di destra – tra cui Piemonte, Umbria, Abruzzo e Marche – hanno fortemente limitato la distribuzione di questo farmaco nelle cliniche di pianificazione familiare, o ne hanno limitato l’uso a tre giorni obbligatori. ricovero ospedaliero.

L’ex ministro della Salute, Roberto Speranza | Filippo Monteforte/AFP via Getty Images

Tuttavia, dopo le elezioni della scorsa settimana, sembra improbabile qualsiasi modifica per risolvere il problema dell’accesso all’aborto.

Ad esempio, le Marche sono attualmente governate da Francesco Acquaroli, membro dei Fratelli d’Italia di Meloni, che si oppone esplicitamente all’aborto con la motivazione che porterebbe alla “sostituzione etnica” degli italiani. Le donne bianche, a quanto pare, dovrebbero essere costrette ad avere più bambini per mantenere la supremazia bianca.

Questa linea di aumentare le nascite scoraggiando le donne dal interrompere gravidanze indesiderate o non pianificate è stata ripresa anche da Letizia Moratti, ex ministro sotto Silvio Berlusconi e potenziale candidata di centrodestra a governatore della Lombardia.

Alla domanda sulle sue opinioni sull’obiezione di coscienza nella regione – che è intorno al 60 per cento – Moratti ha evitato la domanda citando Il calo delle nascite in Italia, definendo l’aborto “una ferita e una decisione dolorosa” e dichiarando il suo sostegno a una piena applicazione della legge a sostegno delle donne che potrebbero sentirsi finanziariamente insicure. Attualmente è assessore regionale al Welfare della Lombardia.

Raddoppiando su questo punto, nei giorni scorsi membri dell’amministrazione regionale di Fratelli d’Italia in Liguria hanno delineato a proposta per una legge, che sosterrebbe e aumenterebbe ulteriormente la presenza di attivisti contrari alla scelta negli ospedali, con l’obiettivo di dissuadere le donne dal interrompere le gravidanze indesiderate.

Intanto, a livello nazionale, il 16 settembre 2022, i vertici della coalizione di governo entrante — Meloni per Fratelli d’Italia, Matteo Salvini per la Lega e Silvio Berlusconi per Forza Italia — si sono ufficialmente impegnati a promuovere l’anti-scelta manifesto presentato dall’organizzazione conservatrice ProVita & Famiglia.

ProVita è un gruppo di pressione potente e apparentemente ben finanziato che ha già visto molti dei suoi membri eletti in parlamento. È anche una delle forze alla base della presenza di volontari contrari alla scelta negli ospedali e nelle cliniche di pianificazione familiare in tutto il paese.

Leader della Lega di destra italiana, Matteo Salvini | Miguel Medina/AFP tramite Getty Images

Le donne che mi hanno parlato in condizione di anonimato descrivono di essere state sottoposte a una pressione psicologica considerevole – e spesso intollerabile – da parte degli operatori sanitari che hanno eseguito gli esami medici e psicologici obbligatori.

Ad alcuni sono state dette vere e proprie bugie e sono rimasti traumatizzati. Ad altri sono stati offerti soldi da donatori anonimi per portare a termine le loro gravidanze.

Gli attivisti contrari alla scelta spesso sottolineano anche che coloro che non desiderano diventare madri possono ancora portare a termine una gravidanza e dare il bambino in adozione. Una scelta che, sebbene del tutto possibile, è probabilmente molto più traumatica per la persona incinta di un aborto, anche perché Legislazione italiana non contempla l’adozione aperta, rendendo impossibile per le madri naturali dei bambini adottati mantenere una relazione.

Gli attivisti per i diritti riproduttivi in ​​Italia si battono da tempo per una riforma della legge 194, riforma che difficilmente sarebbe stata approvata durante l’ultima legislatura a causa della sua maggioranza prevalentemente social-conservatrice. E hanno buone ragioni per credere che il governo entrante di destra combatterà attivamente l’accesso all’aborto sfruttando le molteplici debolezze della legge.

Sembra che, inevitabilmente, la lotta tornerà in piazza ancora una volta.

Fonte: ilpolitico.eu

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