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La prima guerra ai manifestanti

da Notizie Dal Web

Un nuovo documentario esamina le proteste del governo Potemkin alla fine degli anni ’60.

Riotsville, U.S.A.Dir. di Sierra Pettengill

Composto interamente da filmati della fine degli anni ’60 – sia trasmissioni televisive che filmati trovati negli archivi del governo – Riotsville, USA, racconta la storia di due città fittizie costruite dalle forze armate statunitensi al solo scopo di simulare la violenta sottomissione di proteste politiche e rivolte urbane. Questo inquietante capitolo della fine del 20° secolo ci aiuta a capire lo stato americano militarizzato del 21°, in cui la polizia rotola per le strade della città pronta alla guerra alla prima vista dei disordini civili, in particolare dei disordini neri, una trama resa esplicita dal regista del film e ricercatore primario, Sierra Pettengill.

Ma nonostante la risonanza contemporanea del filmato inquietante del film, gran parte di esso raccolto da archivi non classificati di pubblico dominio, Riotsville, USA, raramente si eleva al di sopra della sensazione di essere un assemblaggio di note storiche. Le voci fuori campo espositive dell’attrice Charlene Modeste e le stilizzazioni dei video-saggi orientano chiaramente lo spettatore alla fine degli anni ’60, ma non catturano mai emotivamente o spiegano in modo convincente il profondo spirito rivoluzionario di quel tempo, uno zeitgeist di protesta e risveglio che tanto minacciò l’establishment, risparmiò nessun costo per provare la sua soppressione.

Una scena del film documentario di Sierra Pettengill, “Riotsville, U.S.A.”

Apprendiamo dal testo sullo schermo che le città di Potemkin sono state ispirate dalle rivolte degli anni precedenti, come le rivolte di Watts del ’65 e le rivolte di Division Street del ’66, che hanno portato il presidente Lyndon Johnson a formare la Commissione Kerner nel 1967 per studiare le cause profonde dei disordini sociali mentre si stava svolgendo la famigerata “lunga e calda estate del 1967” (il paese avrebbe assistito a oltre 150 rivolte legate alla razza in giugno e luglio). I risultati della commissione relativi alle disuguaglianze razziali ed economiche sono stati per lo più ignorati, ma come apprendiamo dalle voci fuori campo filosofiche e lunatiche di Modeste, il rapporto Kerner ha aiutato a schiudere e guidare l’idea di costruire elaborate rievocazioni militari.

UN dozzina città false furono costruite su basi dell’esercito per questi esercizi. Il film è incentrato su due in particolare, entrambi soprannominati “Riotsville”, costruiti a Fort Belvoir in Virginia e Fort Gordon in Georgia nel 1967. Le finte vetrine presentavano nomi commerciali generici come “Appliance Center” scritti a grandi lettere in stampatello sulle facciate che ricordavano i vecchi set cinematografici, dove il cowboy passeggia in città ed esige giusta vendetta su un fuorilegge. Il cowboy, in questo caso, è il soldato americano ma i rivoltosi fuorilegge sono interpretati anche da soldati, che iniziano i cicli di violenza senza rima né ragione. Gli organizzatori di questi esercizi teorici si preoccupavano poco del retroscena, o di causa ed effetto. Mentre i generali ingioiellati osservano allegramente dalle gradinate vicine, lo spettacolo inizia e finisce sempre allo stesso modo: i ribelli della marmaglia diventano violenti, vengono repressi, quindi rinchiusi. L’ordine viene ripristinato; prevale la “giustizia” autoritaria.

Sebbene Riotsville, USA, offra fugaci indizi sulle tensioni razziali dell’epoca, non si parla abbastanza delle origini del notevole spettacolo dello stato che prova la disumanizzazione della sua gente e la picchia con i manganelli.

Lo spettatore non è più vicino all’azione dei vertici militari che la supervisionano. Non solo perché gran parte del filmato d’archivio è stato girato a distanza, ma perché il suo atto di essere testimone – di usare questo filmato per commentare gli anni ’60 e oggi – è limitato alle esercitazioni stesse, con scarso contrasto o confronto con le reali metodologie per che servirono come primi modelli. Mentre le righe di testo e le immagini inserite forniscono accenni a una storia più ampia – le “Riotsville” a Belvoir e Gordon sono state costruite su basi militari che prendono il nome rispettivamente da una piantagione e da un generale confederato detentore di schiavi – il film non offre un esame più approfondito della supremazia bianca incorporata all’interno del militarismo americano, pur facendo un accenno superficiale alla guerra in Vietnam. Concentrandosi sul “cosa” di queste simulazioni – vengono arrestati falsi saccheggiatori – il “perché” viene raramente affrontato con rigore o controllo. Le file di vetrine di Potemkin sono semplicemente trattate come un’ambientazione, proprio come lo erano i fucilieri che provavano, lasciando intatte le domande più urgenti sollevate dalla decisione del governo degli Stati Uniti di portare a casa la controinsurrezione.

Sierra Pettengill, direttrice di “Riotsville”

All’epoca, il pubblico potrebbe non essere stato a conoscenza delle rievocazioni, ma le suddette domande incombevano a grandi dimensioni grazie alla vera violenza che si verificava ogni volta che la Guardia Nazionale veniva chiamata nelle città in rivolta. Queste ansie hanno animato il mockumentary Punishment Park di Peter Watkins del 1971, uno psicodramma che ha visto i dissidenti americani trasformati in bersagli viventi per i tirocinanti della Guardia Nazionale. Tuttavia, mentre il film di Watkins pone al centro la disumanizzazione dei militari, quello di Pettengill lo lascia ai margini.

Sebbene Riotsville, USA, offra fugaci indizi sulle tensioni razziali dell’epoca, forniti attraverso clip di interviste televisive con predicatori neri, non si parla abbastanza delle origini del notevole spettacolo dello stato che prova la disumanizzazione della sua gente e la picchia con i manganelli. Queste prove spianano la strada alla realtà? Rende più facile per i soldati? Le rappresentazioni di Riotsville sono, in teoria, affascinanti finestre su questa domanda, ma il film è troppo concentrato sulle immagini simulate della brutalità per chiedersi come si collegano agli equivalenti del mondo reale che sono diventati fin troppo familiari nell’era degli smartphone.

Il che non vuol dire che la presentazione del film della vera violenza sia offuscata. Il suo primo taglio da Riotsville a una vera rivolta – a Washington DC, dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr. – distribuisce filmati di notizie di una finestra di McDonald’s in frantumi, come per criticare sottilmente lo sguardo giornalistico dell’epoca e la sua preoccupazione per il capitale e la proprietà prima di tutto. (Sebbene non sia menzionato esplicitamente nel film, il rapporto Kerner, infatti, includere una critica dei media nei suoi risultati). La voce fuori campo di Modeste allude a idee sparse sulle disuguaglianze razziali ed economiche, passate e presenti, ma sono proprio questo: un’infarinatura di possibili approcci profondi alla storia, a pochi dei quali viene concesso spazio per respirare. Si fa riferimento a rivolte specifiche e vengono fornite date e luoghi esatti, ma raramente le loro cause vengono contestualizzate. Ironia della sorte, l’approccio del film non è poi così dissimile da quello delle forze armate statunitensi: presenta rivolte spogliate di storia e umanità.

Il film contiene alcuni ammirevoli svolazzi stilistici, come l’applicazione occasionale da parte di Pettengill del rallentatore digitale a vecchi filmati, risultando in un effetto morphing che crea sovrapposizioni, inesistenti “indovina i fotogrammi”, mescolando finti rivoltosi con i loro finti dintorni, come se il tessuto stesso di queste immagini fosse stato messo in discussione. Alcune informazioni, presentate tramite documenti e altro testo, arrivano in furiose raffiche di montaggio che ti prendono per la gola. Ad un certo punto, lo schermo è consumato da primi piani estremi di veri rivoltosi, stampati sui giornali dell’epoca; questi sono presentati così da vicino da apparire come una serie di punti, che si trasformano l’uno nell’altro, creando un continuum di immagini e ondate di ribellione. Tuttavia, l’inquadratura non viene mai rimpicciolita per catturare la portata di queste immagini, o di cosa e di chi si trattasse veramente, lasciando esteticamente convincenti le connessioni del film tra la vera e la falsa inquietudine. È, forse accidentalmente, la metafora più adatta per il film stesso, che si concentra su una litania di problemi, ma raramente cattura la storia più ampia del loro intreccio radicale, allora e ora.

Una scena del film documentario di Sierra Pettengill, “Riotsville, U.S.A.”

La meticolosità delle città di Riotsville riporta alla mente opere recenti come la serie di realtà HBO di Nathan Fielder La prova e il mega-progetto cinematografico di Ilya Khrzhanovsky Dau, che comportano ricostruzioni e rievocazioni su larga scala. Entrambi sono estensioni dei rispettivi ego dei loro creatori; il primo scruta questo impulso, mentre il secondo lascia correre le tendenze abusive del suo creatore. Ad ogni modo, l’elemento più affascinante di entrambe le opere è il rapporto tra creatore e creazione, e ciò che queste vaste simulazioni hanno da dire sulle persone che le gestiscono. Questo elemento è molto mancato qui, perché mentre le prove di Riotsville sono sgradevoli da guardare, non sono nemmeno così snervanti come l’idea del governo degli Stati Uniti – lo “showrunner” del progetto – che fa il dio con la vita delle persone. Riotsville, USA, nonostante il ricco materiale con cui ha dovuto lavorare, non riesce a cogliere l’enormità delle sue implicazioni.

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Fonte: Trudig.com

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